Beato Bartolo Longo

“Il mio unico desiderio è quello di vedere Maria, che mi ha salvato e mi salverà dalle grinfie di Satana.” – Beato Bartolo Longo.

Bartolo Longo nacque a Latiano da Bartolomeo Longo (medico) e Antonia Luparelli, il 10 febbraio 1841. Fu battezzato tre giorni dopo, il 13 febbraio 1841. Questa data divenne sacra per lui al punto tale che a Pompei non festeggiava mai l’anniversario della sua nascita, bensì l’anniversario del suo battesimo e perciò volle che il 13 febbraio segnasse anche la data d’inizio del pubblico culto alla SS. Vergine del Rosario. Di fisico minuto ma di acuta intelligenza, Bartolo Longo fu posto nel collegio dei Padri Scolopi di Francavilla Fontana, all’età di 5 anni, come era d’uso a quell’epoca. «Ero, dice, un diavoletto vivace e impertinente, un po’ birichino»[2] Lasciò il collegio nel 1858, dopo aver conseguito il titolo di studio che lo abilitava all’insegnamento di “rudimenti grammaticali” e si iscrisse alla Regia Università di Napoli.

 Avvenuta l’annessione del Regno delle due Sicilie al Regno d’Italia, con la legge “Casati”, estesa a tutto il Regno d’Italia, gli studi subirono un forte mutamento, per cui i titoli conseguiti non erano riconosciuti. Per tale ragione, Bartolo Longo dovette ricominciare gli studi di Giurisprudenza, proprio quando si apprestava a dare inizio alla sua professione di avvocato. In quegli anni, a Napoli, specie nell’ambiente accademico, vi era una esaltazione per le prime conquiste della libertà che sfociarono in un forte anticlericalismo. Bartolo Longo, dopo la lettura del libro “Le Vie de Jesus” del filosofo francese Ernest Renan, aderì completamente alla contestazione anticlericale, assistette anche a lezioni di Lettere e Filosofia di Augusto Vera, Bertrando Spaventa e Luigi Settembrini, lezioni improntate alla negazione del soprannaturale. Entrò quindi a far parte di un’associazione spiritica – alcuni dicono “satanica” – e si impegnò a divenire “sacerdote di spiritismo” in opposizione alla Chiesa cattolica. Con il passare del tempo tuttavia ciò provocò in lui una profonda crisi, una vera e propria depressione psichica e fisica (i riti dello satanismo includevano lunghi periodi di digiuno che gli danneggiarono l’apparato digerente), ma che fortunatamente non lo portarono al suicidio (come accadde ad un suo amico). La vita si voltò indietro un giorno, dopo una notte di incubi, quando si rivolse al Prof. Vincenzo Pepe. Pepe fu amico, compaesano ed uomo molto religioso, il quale lo pose sotto la direzione spirituale di Padre Radente dell’ordine dei Domenicani. Fu proprio Padre Radente ad aggregarlo al Terzo Ordine di San Domenico. La Madonna del Rosario ha un culto molto antico che risale all’epoca dell’istituzione dei Domenicani (XII secolo), i quali furono i maggiori propagatori del culto del S. Rosario. Ciò quindi animò in Bartolo Longo la propagazione della devozione al S. Rosario. Bartolo volle così tornare dai suoi ex-compagni di spiritismo per tentare invano di evangelizzarli, riuscendo però solo a rendersi lo zimbello di questi. Nel 1864 si laureò in Giurisprudenza, tornò al paese natio, abbandonò la professione di avvocato, fece voto di castità e si prodigò in opere assistenziali. Infatti dalla divisione patrimoniale familiare aveva ottenuto una cospicua somma di denaro e notevoli beni immobili che gli garantivano una rendita annua di oltre 5000 lire, una somma elevata per l’epoca, che gli consentì di assegnare vitalizi e sostenere periodiche spese di ammalati e bisognosi.

 Per seguire questa voglia di aiutare i bisognosi, tornò a Napoli ove conobbe Caterina Volpicelli (proclamata poi beata). Nella Casa Centrale, che la Volpicelli aveva aperto a Napoli, Bartolo conobbe la contessa Marianna Farnararo De Fusco (Monopoli, 13 dicembre 1836 – Pompei, 9 febbraio 1924), donna impegnata fortemente in opere caritatevoli ed assistenziali. Questa era rimasta vedova nel 1864 del conte Albenzio De Fusco di Lettere (NA), i cui possedimenti si estendevano anche nella Valle di Pompei. Alla contessa, vedova di soli 27 anni con cinque figli in tenera età, serviva un amministratore per i beni De Fusco, nonché un precettore per i figli. Fu così che Bartolo accettò di stabilirsi in una residenza dei De Fusco per assolvere a tali compiti. Questa conoscenza segnò una svolta fondamentale nella vita di Bartolo Longo, poiché egli divenne inseparabile compagno nelle opere caritatevoli della contessa. Tale amicizia tuttavia diede luogo a parecchie maldicenze, per cui dopo un’udienza da Papa Leone XIII, i due nel 1885 decisero di sposarsi, con il proposito però di vivere come buoni amici, in amore fraterno, come avevano fatto fino allora. Il matrimonio avvenne senza gli atti civili e le pubblicazioni di rito. Il primo vero contatto di Bartolo Longo con i Pompeiani avvenne nel 1872, quando egli si recò nella Valle di Pompei per sistemare i rapporti economici tra la Contessa e gli affittuari dei suoi possedimenti. Ebbe problemi a comprendersi con gli abitanti del luogo, essendo l’Unità d’Italia da poco avvenuta e parlando solo in dialetto locale i Pompeiani dell’epoca. In tale occasione ebbe modo di notare lo stato di abbandono in cui i circa 1000 abitanti della zona vivevano e notò in quale stato di rovina si trovava la Parrocchia del SS. Salvatore, umile antica chiesa (le sue origini risalgono al 1093), intorno alla quale si raggrupparono i primi abitanti dell’Agro pompeiano. Un giorno, vagando per quei campi, in contrada Arpaia, Bartolo sentì una voce misteriosa che gli diceva: “Se propaghi il Rosario, sarai salvo!”. E subito dopo udì l’eco di una campana lontana, suonante l’Angelus di mezzogiorno, che lo fece inginocchiare sulla nuda terra e pregare fino al raggiungimento di una grande pace interiore, mai provata prima. A quel punto ebbe ancora più chiara la missione da compiere. Iniziò così a ideare la costituzione di una “pia società” intitolata al Rosario da realizzare proprio li, in quella valle abbandonata. Nei tre anni successivi tornò tra i Pompeiani a propagandare la sua idea di Rosario, ma realizzò presto che, a tale scopo, gli occorreva un quadro della Madonna del Rosario, dipinto ad olio, come prescriveva la liturgia. Si recò così a Napoli per comprarne uno. L’idea era quella di acquistarne uno già visto in un negozio, ma le cose non andarono così. Per puro caso infatti incontrò in Via Toledo Padre Radente che allo scopo gli suggerì di andare al Conservatorio del Rosario di Portamedina e di chiedere, in suo nome, a Suor Maria Concetta De Litala un vecchio quadro del Rosario che egli stesso le aveva affidato dieci anni prima. Bartolo seguì tale suggerimento, ma fu presto preso da sgomento quando la suora gli mostrò il quadro: una tela corrosa dalle tarme e logorata dal tempo, mancante di pezzi di colore, con la Madonna in atteggiamento antistorico, cioè con la Vergine che porge la corona a Santa Rosa, anziché a Santa Caterina da Siena, come nella tradizione domenicana. Bartolo Longo fu sul punto di declinare l’offerta, ma ritirò comunque il dono per l’insistenza della Suora. Nel tardo pomeriggio del 13 novembre 1875, l’immagine della Madonna giunse così a Pompei, su un carretto guidato dal carrettiere Angelo Tortora e adibito al trasporto di letame. Fu scaricata con la sua lurida copertura di fronte alla fatiscente Parrocchia del SS. Salvatore, ove ad aspettarla c’erano l’anziano parroco Cirillo, Bartolo e altri abitanti. Lo sgomento iniziale di Bartolo colse anche tutti gli altri presenti quando, tolta la coperta, fu mostrato il quadro. Furono tutti d’accordo che l’immagine non si potesse esporre per timore di interdetto, prima di un restauro anche solo parziale. Al primo restauro, nel corso degli anni, seguirono altri e per i primi tre anni il quadro fu esposto nella Parrocchia del SS. Salvatore. Di fronte a tanto interesse religioso e devozione, il vescovo di Nola (nella cui diocesi era compresa allora anche la Valle di Pompei) suggerì a Bartolo Longo di iniziare la costruzione di una nuova chiesa, in un terreno indicato dallo stesso vescovo. Iniziarono così le peregrinazioni di Bartolo Longo e della Contessa in cerca dei fondi necessari, mediante la sottoscrizione di “un soldo al mese”. Il 13 febbraio 1876, giorno in cui per la prima volta il quadro della Madonna veniva esposto, dopo il restauro, alla pubblica venerazione, si verificò il primo prodigio: la completa guarigione della dodicenne Clorinda, giudicata inguaribile dal celebre Professore Antonio Cardarelli, e per la cui salvezza la zia Anna aveva aderito alle offerte per la nascente chiesa. Era il primo di una lunga serie di miracoli e grazie nella storia del Santuario di Pompei. Da Napoli e successivamente da molte altre parti del mondo iniziarono a giungere offerte per la costruzione della nuova chiesa la cui prima pietra fu posta l’8 maggio 1876. Il Quadro fu quindi posto su un altare provvisorio in una cappella (detta poi di Santa Caterina), nella erigenda chiesa. L’architetto Antonio Cua si offrì gratuitamente per fare il progetto e dirigere i lavori della nuova chiesa. Nel 1877 Bartolo Longo scrisse e divulgò la pratica dei “Quindici Sabati”.

 Due anni dopo, guarì lui stesso da una grave malattia grazie alla recita della Novena, da lui composta e della quale ci furono, immediatamente, novecento edizioni, in ventidue lingue. Il 14 ottobre 1883, ventimila pellegrini, riuniti a Pompei, recitarono, per la prima volta, la Supplica alla Vergine del Rosario, scritta da Bartolo Longo, in risposta all’Enciclica Supremi Apostolatus Officio (1 settembre 1883), con la quale Leone XIII, di fronte ai mali della società, additava come rimedio la recita del Rosario. Nel 1884 fondò il periodico “Il Rosario e la Nuova Pompei”, tuttora stampato e diffuso in tutto il mondo. Nel frattempo intorno al grande cantiere per la chiesa, Bartolo Longo diede forma alla nuova città, con le case per gli operai (primo esempio di edilizia sociale), il telegrafo, un piccolo ospedale, l’osservatorio meteorologico e quello geodinamico. Nel 1887 fondò l’Orfanotrofio Femminile, la prima delle sue opere di carità a favore dei minori. Il 6 maggio 1891, il cardinale Raffaele Monaco La Valletta consacrò il nuovo Tempio. Nel 1898 Bartolo Longo fece ricostruire la Parrocchia del SS. Salvatore, tale quale oggi è, in modo che potesse continuare la sua esistenza in modo autonomo dalla nascente chiesa, divenuta sin dal 1894, Basilica Pontificia. In questo periodo Bartolo Longo maturò la sua intuizione più originale e cioè: non solo credere nella possibilità del recupero dei figli dei carcerati, ma scommettere sul fatto che essi, a loro volta, avrebbero potuto salvare i loro genitori dalla disperazione. Nel 1892 veniva così collocata la prima pietra dell’Ospizio per i figli dei carcerati, retto, a partire dal 1907, dai Fratelli delle Scuole Cristiane di San Giovanni Battista de La Salle. Dopo appena sei anni gli allievi erano oltre cento. In seguito accolse anche le figlie dei carcerati che affidò alla cura delle Suore Domenicane “Figlie del Santo Rosario di Pompei”, da lui fondate nel 1897. Si trattava di un’opera difficile perché combattuta dalla cultura e dalla scienza positivista del tempo, che non riconosceva la educabilità del figlio di un delinquente. L’opera di Bartolo Longo dimostrò il contrario. Queste opere miravano ad accogliere ed educare tutti i bambini e ragazzi orfani o abbandonati che, quindi, non avevano punti di riferimento familiari per la propria crescita umana e sociale. Il 5 maggio 1901 fu così inaugurata la facciata del Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, frutto di offerte proveniente da tutto il mondo e dedicata alla Pace Universale. In tale occasione Bartolo Longo promise ai Pompeiani che un giorno la Basilica sarebbe stata visitata dal Papa, cosa che si è poi verificata per ben due volte, il 21 ottobre 1979 e il 7 ottobre 2003, per opera di Giovanni Paolo II. Su Bartolo tuttavia caddero ingiurie e calunnie che arrivarono fin sul tavolo di Papa Pio X. Bartolo e la Contessa decisero così, il 12 settembre 1906, di donare l’Opera di Pompei al Papa. Papa Pio X, venuto a conoscenza della verità, mostrò grande stima per il Fondatore della nuova Pompei e approvò la Pia Unione Universale per la recita del Rosario in comune e nelle famiglie, proposta dal Longo, volendo esserne il primo iscritto. L’opera di Bartolo Longo così si arricchì ulteriormente con l’istituzione della Supplica alla madonna di Pompei (da egli stesso scritta) l’8 maggio e la Prima Domenica di ottobre, la promozione del Movimento Assunzionista per ottenere la definizione del dogma dell’Assunzione di Maria, l’Orfanotrofio Femminile, l’Istituto per i Figli dei Carcerati, l’Istituto per le Figlie dei Carcerati, la Congregazione femminile delle Suore Domenicane Figlie del S. Rosario di Pompei, con lo scopo primario di assistenza e di educazione dei bambini e delle ragazze delle Opere, le Case Operaie per i dipendenti, la tipografia con annessa legatoria anche artistica, le officine, la scuola di arti e mestieri e la scuola serale, la stazione ferroviaria per la quale offrì il terreno. Bartolo Longo tuttavia intuì che la nascente città avrebbe avuto una forte vocazione turistica sia per l’interesse archeologico verso gli Scavi dell’antica Pompei, sia per il sempre maggiore interesse religioso che portava ormai migliaia di pellegrini presso la Basilica. Si adoperò pertanto affinché nella città sorgessero farmacie, luoghi di ristoro ed accoglienza per i visitatori, nonché una stazione ferroviaria con annessa piazza antistante (per le quali offrì il suolo), un ufficio postale, nuove strade e tutto quanto potesse rendere la città più bella e funzionale. Trasformato quindi una valle desolata, in penoso stato di abbandono e degrado, in una moderna bella città a forte vocazione turistica, dotata di tutti i confort e servizi. La contessa De Fusco morì il 9 febbraio 1924. Ciò provocò giorni di terribile sofferenza a Bartolo Longo che, per sfuggire alle possibili ritorsioni da parte degli eredi della Nobildonna, si trasferì prima a Napoli, presso il nipote ingegnere, poi dopo un mese a Latiano. Infatti poco dopo, a tutela del patrimonio, gli ufficiali del Tribunale di Salerno entrarono nella casa che fu della Contessa e di Bartolo ed inventariarono mobili e beni. Il 23 aprile 1925, dopo quattordici mesi e molte sollecitazioni da parte dei Pompeiani, Bartolo tornò a Pompei. E lo fece come quando vi era giunto per la prima volta nel 1872: senza possedere più nulla, ma stavolta trovando una città in festa ad aspettarlo. Il 30 maggio 1925 fu insignito della Gran Croce del Santo Sepolcro. Negli ultimi mesi di vita, Bartolo Longo poté godere della splendida amicizia con il dottor Giuseppe Moscati (proclamato santo il 25 ottobre 1987 da Papa Giovanni Paolo II) con il quale spesso si vedeva per consulti medici. I due strinsero una filiale amicizia che si concluse solo quando, nella mattinata del 5 ottobre 1926, il Moscati andò a Pompei per assisterlo per l’ultima volta.

 Nel pomeriggio di quel giorno, infatti, tornando a Napoli, senza saper nulla di quello che accadeva a Pompei, disse ai suoi familiari: “Don Bartolo è passato in cielo”. Bartolo Longo così morì poverissimo, potendo disporre soltanto del proprio lettino poiché tutto il mobilio dell’appartamento era stato inventariato e vincolato da un sequestro conservativo ottenuto contro di lui da parenti in agguato. Due anni dopo, grazie all’interessamento di Fratel Adriano di Maria, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che continuò l’opera dell’avvocato, Pompei fu riconosciuta come comune autonomo. L’opera del Longo ha avuto il suo solenne riconoscimento con la Beatificazione da parte di Giovanni Paolo II, avvenuta il 26 ottobre 1980. Le sue spoglia riposano, insieme a quelle della Contessa, di Padre Radente e di Suor Maria Concetta de Litala, nell’ampia cripta sottostante la Basilica.

Alcune parole che ci ha lasciato Bartolo Longo: «Ho già detto che la Carità, nel senso più largo della parola, cioè l’amore, deve essere la base, il fondamento di ogni sistema pedagogico che voglia pervenire a sicuri e lodevoli risultati; ed aggiungo ora, che con l’amore e per l’amore si ottiene educato il fanciullo, ancorché incorreggibile, o come dicono, delinquente nato. Fategli comprendere che lo amate, perché è sventurato; che lo educate solo perché lo amate; ed egli vi amerà, e per amore si sforzerà di corrispondere alle assidue ed amorevoli cure che voi spendete per educarlo. E voi troverete nei fatti che la Carità supera tutti i mezzi suggeriti dalla Pedagogia e dalle Scienze; e nel campo didattico, come in qualsiasi altro, assicura vittorie certe, grandi e definitive. Però la Carità, come ho provato altre volte, non è nemica della Scienza. […] Quindi se io pongo la Carità a base dell’Educazione di Fanciulli reietti e nati male, non escludo verun ritrovato della Scienza e segnatamente della Pedagogia, che è destinata a formar l’Uomo, e quindi è la più ardua com’è la più importante tra le scienze. Ma dico solo che il fondamento di ogni educazione è l’amore cristiano».